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Il 15 agosto, insieme ai compagni radicali Matteo Mainardi (presidente dell'associazione Radicali Marche) e Fabio Pazzini ho accompagnato l'onorevole Luca Paolini (di Fano, eletto con la Lega), a una visita ai carceri di Pesaro e Fossombrone. Questo è il secondo anno che i Radicali (www.radicali.it) promuovono visite agostane ai carceri italiani, e lo fanno per mettere in evidenza come il sovraffollamento e in generale il mancato rispetto di condizioni umane di detenzione siano una forma di grave violazione del diritto da parte di quello stesso Stato che attraverso il carcere dovrebbe da un lato sanzionare, dall'altro recuperare alla società chi viola la legge. Io mi limito qui però a riferire la mia esperienza e le cose che ho visto direttamente. Casa circondariale di Pesaro: inaugurata nel 1989 alla periferia della città. L'aspetto delle strutture è buono, i corridoi e gli atrii sono puliti e abbastanza luminosi, ci sono vari spazi per le attività comuni sia all'aperto sia al chiuso, tra cui alcuni laboratori (un'ampia falegnameria attrezzata, una stamperia, un laboratorio di ceramica usato anche come scuola di musica, una biblioteca). Peccato che non ci siano i fondi per attivare queste attività, se non in piccola parte! C'è carenza, riferiscono sia la direttrice (a una delegazione precedente a quella cui ho partecipato io) sia il comandante della polizia penitenziaria del carcere (a me), di volontari che vengano a fare lezioni, o di fondi per pagare personale non volontario e gli stessi lavoratori-detenuti, che per motivi a me incomprensibili non possono lavorare come volontari. Gli spazi comuni femminili (il carcere di Villa Fastiggi è uno dei 2 soli nelle Marche ad avere una sezione femminile) sono purtroppo minori. Ho visto a mezza mattina, nell'ora d'aria, alcune detenute giocare a pallavolo in un campetto di cemento assolato, mentre all'ombra una faceva treccine a un'altra. Ma la maggior parte di loro, mi ha riferito il comandante dei poliziotti di guardia, era rimasta in cella. La struttura pesarese è gravemente sovraffollata. Le celle sono di meno di 10 mq (più bagno) e in tutte o quasi è sistemato un letto a castello a 2 posti più un ulteriore letto a sbalzo (3 posti in totale). Ogni detenuto quindi ha poco più di 3 metri quadri a disposizione. A fronte dei 278 detenuti, i 122 agenti in servizio sono pochi, se si pensa che l'attività non può essere divisa, evidentemente, in meno di 3 turni e, soprattutto, che il regime contrattuale della polizia penitenziaria permette, a chi fa uso di tutti i diritti ma anche di tutti gli espedienti possibili, di essere (troppo) spesso assente dal lavoro (una cinquantina di giorni di ferie più diritto al ricongiungimento con la famiglia di origine, più facile riconoscimento - è sufficiente un certificato del medico interno del carcere senza verifica di alcuna commissione - del diritto ad assentarsi fino a 90 giorni in caso di condizioni di stress psicologico). C'è poi da tenere conto che alcuni agenti sono inevitabilmente impegnati nel servizio di trasferimento dei detenuti (trasferimenti da un carcere all'altro, dal carcere agli ospedali, o ai tribunali per le udienze), e altri in lavori amministrativi. Per esempio c'è da mandare avanti l'ufficio matricola, che nel carcere fa l'accettazione e la dimissione dei detenuti e tiene la "contabilità" delle pene e delle dislocazioni. A Pesaro questo ufficio è ampio e con diverse postazioni di lavoro, allietate, come in un garage, da un paio di calendari di donne nude sponsorizzati da autofficine. Vengo ora alla mia seconda visita carceraria di Ferragosto. Il carcere di Fossombrone. Con 134 detenuti, di cui 89 in alta sicurezza, è più fortunato dal punto di vista dell'affollamento: le celle da circa 8 mq, che hanno il gabinetto e il lavabo nello stesso vano, non permettono di sistemare più di un detenuto. Non lo permettono in senso fisico: il comandante ci ha raccontato che in qualche caso si è tentato di aggiungere un materasso a terra, che però non ci stava proprio. Al momento, tranne due bracci inagibili per un totale di una sessantina di posti, le celle sono tutte piene. La struttura principale è di metà dell'Ottocento, con i bracci che convergono in un atrio centrale. Gli spazi comuni al coperto sono quasi inesistenti. L'infermeria è ricavata in un braccio di vecchie celle non più in uso al piano terra, mentre la cucina (in qualche modo affascinante ma non a norma) è in un seminterrato coi soffitti a volta e pieno di colonne che mi ha fatto incongruamente pensare alla grande cripta della moschea principale di Istambul. La visita della cucina è avvenuta forse verso le 15.30 del pomeriggio, e allineati su un tavolo c'erano una trentina di confezioni di latte a lunga conservazione di marca Sterilgarda con un beccuccio già maniacalmente appiattito per essere poi tagliato. Fuori c'è un campo sportivo e anche un'area per gli incontri dei detenuti con i familiari, attrezzata con qualche gioco per bimbi e, nei muri circostanti, affrescata di disegni con colori vivaci. Elementi tanto positivi quanto in grado di amplificare, almeno per un esterno, il senso di tristezza di quel cortile, che il comandante chiama con ottimismo "area verde". Mi ha colpito un detenuto di Fossombrone che faceva meditazione in branda nella posizione del loto, e una di Pesaro che nell'ora d'aria leggeva in cella un volume forse delle edizioni dei classici della Repubblica, e che mi ha degnato di uno sguardo distratto. Mi hanno colpito i mille modi di stendere la biancheria in cella o alle sbarre delle finestre. Michele Governatori |