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Mondavio quale futuro?

Considerazioni (estive) di un mondaviese

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E’ passato un po’ di tempo da quando, di buon mattino, in una piacevolissima domenica di maggio, mezza Mondavio seguì a Marzocco la propria squadra di calcio, per assistere ad una difficilissima trasferta che poteva valere la promozione in prima categoria. Ricordo che il Mondavio doveva solo vincere: perdere o pareggiare avrebbe fatto poca differenza, confermando il secondo posto in classifica. La partita cominciò in sordina, ma si vedeva che la nostra squadra faticava a prendere il comando del gioco. Eppure, improvviso e inaspettato, arrivò il goal di Piergiorgio Casini: un rasoterra da fuori area che infilzò la porta avversaria nell’angolo basso, non ricordo se il destro o il sinistro. Una doccia fredda per il Marzocca che però subito reagì e inflisse alla “Vis Alluflon Mondavio” una sonora sconfitta: la partita finì sette a uno in nostro sfavore. Ritornammo a casa mesti, sconsolati, all’ora di pranzo.

Quella sconfitta fa il paio con un’altrettanto sonora debacle (4 a 1) inflittaci dal Lucrezia, nello scontro che valeva, ancora una volta, la promozione in prima categoria. Eravamo nei primissimi anni Settanta. La mezzadria era ormai quasi completamente smantellata e un imprenditore milanese, Crivelli, aveva avviato la prima catena di montaggio dell’Alluflon. A San Filippo sul Cesano si era insediata la Lions Baby e a decine, su tutto il territorio comunale, crescevano i laboratori artigiani. Dopo quella quattrocentesca, che culminò con la costruzione della rocca, a Mondavio sembrava inaugurarsi una seconda età dell’oro, di cui la squadra di calcio – alimentata dai capitali dell’Alluflon – doveva rappresentarne l’emblema.

Mi piace privilegiare l’aspetto ludico e agonistico del grande fermento che pervadeva Mondavio in quegli anni, perché attorno alle sorti della sua squadra di calcio stava, col fiato sospeso, un’intera comunità. Lo sport, non di rado, serve a rafforzare i legami sociali e in quel frangente era il miglior veicolo per cementare i rapporti tra il capoluogo e le frazioni.

Fin dal nascere la società sportiva del Mondavio ha cercato collaborazione con i centri limitrofi. La prima società di calcio si chiamava “Mob”: acrostico di Mondavio, Orciano, Barchi. La emme di Mondavio trovò la precedenza sulla “o” di Orciano e la “b” di Barchi credo, per comodità di pronuncia. Ma la scelta non apparve di poco conto e tutto naufragò, miseramente. Verrebbe da dire: “calciatori e buoi dei paesi tuoi”. In altre, più recenti occasioni, ricordo certe… perplessità orcianesi per il portone d’ingresso della nuova scuola media: aveva la colpa di guardare verso Mondavio. Ma, tornando alla squadra di calcio, finito l’esperimento della Mob anche la Vis Alluflon Mondavio finì sotto i riflettori delle mai domite vicende campanilistiche. Questa volta però la guerra si giocava in casa e quel che ne scaturì furono due società sportive. Che a mala pena facevano per mezza. Galeotto fu il “Mondavio” dopo “Vis Alluflon”! A nulla servì, infatti, il precedente della Mob. Avessero rinunciato al Mondavio chissà se sotto la bandiera della sola Vis Alluflon avrebbero potuto convivere un po’ tutti? Ma la squadra di calcio era, forse, la punta di un iceberg: dove giocava la Vis Alluflon Mondavio? Sul bel campo, dotato di tribune, di Mondavio. Dove aveva sede la società? A Mondavio, naturalmente. E questo non piaceva. Dimenticavo un fatto, di non secondaria importanza. Il comune di Mondavio era retto da un’amministrazione che rispecchiava in tutto gli equilibri politici nazionali: la DC al governo con i suoi più o meno storici alleati; il partito comunista all’opposizione. E a Mondavio, saldissima roccaforte democristiana, si contrapponevano le frazioni a maggioranza comunista e socialista. E sulla strada maestra della lotta di classe, che scandiva ogni dibattito e persino i rapporti interpersonali, Mondavio faceva la parte del padrone e le frazioni quella del proletariato. A farne le spese non fu solo la Vis Alluflon Mondavio: di lì a poco toccò anche all’ospedale e il perché è presto detto. A differenza di altri luoghi, dove sulla difesa del proprio ospedale si eressero barricate, a Mondavio non vi fu alcuna resistenza. Anzi, sembra incredibile, ma si verificò l’esatto contrario! La retorica imperante era che gli ospedaletti andavano chiusi, perché troppo costosi e capaci solo di assorbire preziose risorse a nosocomi di respiro provinciale e regionale che, dalla loro chiusura, avrebbero ricevuto linfa vitale. Tutto questo mentre, contemporaneamente, anche il più piccolo campanile rivendicava alla sua ombra il campo sportivo, la palestra, il campo da tennis, la pista polivalente, la bocciofila. Servizi, tutti, o quasi, immancabilmente realizzati nella generale follia degli anni Ottanta. Basta guardarsi attorno, paese per paese, per constatarne, infine, lo stato di abbandono in cui, nella stragrande maggioranza dei casi, sono lasciati. Col senno di poi si può tranquillamente affermare, non senza una punta di rammarico, che sotto l’azione moralizzatrice dei conti pubblici cadde allora, nei dispendiosissimi anni Ottanta, solo, o quasi, l’ospedale di Mondavio.

 

Ma è di calcio, e di sport, che volevo parlare. Domanda: anziché alimentare i campanilismi interni perché non si è lasciato ai vivi, e ancor più ai giovani, la piana di Santa Maria della Quercia per un centro polisportivo ad uso e consumo dell’intera popolazione comunale? Non foss’altro per mantener alta un’unica bandiera calcistica sotto il cui orgoglioso vessillo avrebbero potuto trovar spazio le grida dei mondaviesi tutti, in difesa della loro territorialità! Ma quando non si riesce a convivere attorno a un pallone, figuriamoci sotto le mura di un municipio. O di un ospedale.

E veniamo ai giorni nostri. Fatalmente il centro storico di Mondavio si è trasformato in un dormitorio estivo, ed è questo l’ultimo colpo inferto ad un paese già di per sé svantaggiato in quanto parte di un entroterra. “Ridente”, come soleva dirsi, quanto si vuole, ma pur sempre entroterra. Dunque distante (e neanche lambito), dai grandi flussi commerciali, culturali, produttivi.

Qual è la forza di un luogo? Il saper valorizzare le risorse interne, rinunciando a qualsiasi scimmiottamento di realtà ad esso completamente estranee. Dove sta il fascino della Toscana? Nel Brunello, nel Sassiccaia, nelle carni, nei formaggi, nei prodotti “veri” delle sue aziende agricole che tanto interesse destano negli ambienti più raffinati e colti d’Europa. Ovviamente c’è Firenze, con tutta la sua mole di monumenti; e c’è anche il Palio, a Siena: me è fatto per i senesi. Come la corsa dei ceri per gli eugubini e la Fiera di San Firmino a Pamplona. Non fosse così scadrebbero tutte nel folclore, cioè nel nulla di un’effimera bancarellata di cose senza senso e senza storia la cui fortuna è legata agli umori delle volenterose (e sempre apprezzabili) associazioni di volontariato. Ma è su queste cose che può fondarsi il futuro di un abitato? Evidentemente No. Sul folclore si campa poco e male. Quando non si campa affatto.

Se Mondavio ha creduto, in un recente passato, di potersela cavare con il … turismo. Beh! Dispiace dirlo, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ben inteso, credo che Mondavio debba solo onorare tutti coloro che hanno voluto (e saputo) prestargli attenzione. Credo si possa, anzi si debba, solo ringraziare persone come Claudio De Santi e, prima di lui, Stefano Mascherucci, Pierino Berardinelli. Il loro operato è stato, ed è, oltremodo meritevole e sono certo che le generazioni future non lo dimenticheranno. Il fatto è, però, che non alla Pro Loco vanno indirizzate gran parte delle aspettative di una popolazione. E Mondavio non può identificarsi esclusivamente nella rocca.

Da bambini siamo cresciuti a panzanella e pallone. I luoghi deputati erano i seguenti: dietro le scuole, dietro la rocca (così si diceva), al campo sportivo. A picchiatelli si giocava nel lavatoio, ma durava poco con l’efficientissimo Defendo. Finalmente è venuta la pista polivalente e i mondaviesi l’hanno accolta come meglio non avrebbero potuto.

Perdonate queste personalissime considerazioni, del tutto opinabili e confutabilissime, che soprattutto niente possono togliere a chi è già sul campo per rendere onore alla nostra terra. Se mal interpretate non è affar mio, ma me ne scuso ugualmente. Solo è che per un attimo, a forza di dover stare dalla parte dei privilegiati, ho voluto sposare la causa di una Mondavio divenuta, d’un tratto, proletariato. Ormai occorre, come suol dirsi, “fare sistema” e questo esclude reminiscenze sessantottine inneggianti la lotta di classe. Erigere barricate non serve: questo la gente lo percepisce distintamente. Da qui la rinnovata energia della Chiesa e del valore, tutto cristiano, della fratellanza. Buonissimo antidoto, tra l’altro, contro l’invidia, male tra i più deprecabili, capace di minare dalle fondamenta la tenuta di un’intera comunità.

 

Ringrazio Don Giuseppe per l’ospitalità.

 

Francesco M. Ottalevi