allo scorso anno, io e i miei amici ci siamo
interessati a un tema che spesso, quando si discute di "guerra e
pace", si tralascia o peggio ancora si dimentica: il commercio delle
armi.
In Italia abbiamo, o forse è meglio dire avevamo, la legge 185/90, che
disciplinava il commercio delle armi. Questa normativa aveva i suoi difetti
ma era comunque all'avanguardia nel panorama internazionale e ha permesso
una escalation positiva nel comportamento italiano sulla questione della
produzione e vendita d'armi. Accenniamo brevemente una cronologia essenziale
per capire ciò di cui parlo:
nel decennio 1980-1990 durante il conflitto tra Iran e Iraq l'Italia
fornisce armi ad entrambe le parti, le stesse armi che vengono poi
utilizzate dall'Iraq nella prima guerra del Golfo;
sempre nel decennio 1980-1990 forniamo armi alle etnie dei Tutzi e
degli Hutu che si annientano a vicenda nella guerra del Congo, una delle
più sanguinose della storia Africana. La zona dei Grandi Laghi in Africa
viene letteralmente "coltivata" con mine anti-uomo in gran parte
made in Italy;
nel decennio 1990-2000 l'Italia non esporta armi nei Balcani
costantemente in guerra;
1996 l'Italia perde finalmente il triste primato
sull'esportazione di mine anti-uomo;
2000 l'Italia scende dalla quarta alla sedicesima posizione come
esportatore mondiale di armi;
2002 l'Italia risulta la nazione meno coinvolta nel riarmo di
zone instabili come i Balcani, l'Iraq e l'Afganistan.
Questo miglioramento è dovuto proprio alla legge 185/90.
Ma come regolamentava il commercio delle armi la legge 185/90?
La legge metteva al bando la vendita di armi a Paesi in guerra o che
violavano i diritti umani e consentiva un controllo ferreo su tutte le
operazioni commerciali. In particolare il governo aveva completo accesso ai
dati (azienda fornitrice, prodotto venduto, banche coinvolte, destinatario
intermedio e ultimo) e aveva il dovere di relazionare annualmente al
Parlamento (e quindi all'opinione pubblica) tutti i movimenti avvenuti.
Grazie a questa legge l'Italia era riconosciuta a livello internazionale
come "il Paese più civile" sulla questione dell'export di armi.
La legge 185/90 è divenuta di estrema attualità perché il governo su
proposta dell'on. Cesare Previti ha presentato il disegno di legge 1927 che
è stato approvato definitivamente dal Parlamento il 3 giugno di quest'anno.
Il ddl 1927 ha completamente stravolto la 185/90.
Ecco le conseguenze più significative del ddl 1927:
Cancellazione dell'obbligo, da parte del governo, di presentare la
relazione annuale sulle esportazioni autorizzate di armi. Scompare quindi
qualsiasi informazione sulle operazioni commerciali. Ne consegue una
perdita assoluta di controllo da parte del Governo, del Parlamento e
quindi dell'opinione pubblica;
Delega nelle mani dei privati della produzione e vendita d'armi senza
limiti;
Nella legge 185/90 si cita la frase: "l'Italia non può
esportare ai Paesi che violano i diritti umani", nel decreto 1927
si è aggiunto un aggettivo portando la frase a "…che violano <gravemente>
i diritti umani". E' facile capire che l'introduzione dell'aggettivo
<gravemente> da alla frase un carattere molto soggettivo;
E' stato eliminato il certificato d'uso finale, che attestava la
destinazione degli armamenti, con il risultato di una maggiore facilità
di triangolazione per le esportazioni di armi tramite una licenza globale
di progetto. Così facendo sarà più semplice vendere materiale bellico
anche ai paesi cosiddetti "terroristi". Da una parte facciamo
guerra a Bin Laden e Suddam Hussein, dall'altra vendiamo loro le armi!
Numerose realtà sociali tra cui Amnesty International, Emergency,
Medici Senza Frontiere, Peacelink, Retelilliput, Tavola della Pace, Vita,
Arci, Missione Oggi, Nigrizia e Pax Christi, si sono mobilitate
dall'inizio della vicenda promuovendo una campagna di pressione nei
confronti dei membri del Governo. La Campagna Italiana, denominata "Fermiamo
i mercanti di morte", ha inviato al Parlamento italiano quasi
150mila firme, organizzato numerose conferenze e azioni di mobilitazione su
tutto il territorio, oltre a un'ampia campagna informativa. Sono state
spedite più di 10mila e-mail per sensibilizzare i parlamentari, per i quali
spesso capita di votare "sulla fiducia".
Noi nel nostro Comune di Mondavio, abbiamo raccolto un centinaio di
firme, che per la nostra realtà non è poco, e le abbiamo spedite ai nostri
rappresentanti in Parlamento, l'onorevole Gasperoni e il senatore Calvi.
Entrambi ci hanno risposto impegnandosi a votare contro la legge come in
effetti hanno fatto. Gasperoni si è anche reso disponibile organizzando
insieme a noi una serata di informazione su questo tema che ha visto molte
persone interessate all'argomento.
Alla fine però abbiamo perso la sfida!
E’ vero, è stata una sconfitta per la società civile. Ma tengo a
precisare che bisogna continuare a impegnarsi su questo fronte.
Come?
A questa domanda rispondiamo con la riflessione della redazione del
settimanale “VITA” che indica alla società civile che sviluppo, in
futuro, può avere la campagna "Fermiamo i mercanti di morte".
“Chiaramente la campagna non si conclude con questa votazione,
l'obiettivo futuro è la costituzione in Italia di un network stabile sul
controllo delle armi capace di operare un'azione di monitoraggio nazionale
ed internazionale in materia di commercio e produzione di armi.
Lavoreremo inoltre perché sia promosso il "Trattato sul commercio
di armi", proposto dai Premi Nobel per la pace, uno strumento giuridico
internazionale che regoli le esportazioni secondo le norme fissate dal
diritto internazionale e ispirate dal diritto umanitario e dalle convenzioni
in tema di diritti dell'uomo. Uno strumento indispensabile per impedire i
trasferimenti di armi verso i paesi in stato di conflitto e in cui vi è il
rischio che siano utilizzate per commettere crimini e atrocità.”
Chi desidera maggiori informazioni su questo tema può consultare il
nostro sito: