Da Roma Salvatore
Mazza
Dio ci insegna l'amore, perché è stato lui il primo ad
amare. Un amore senza riserve, che inizia con la creazione dell'uomo al
quale ha dato una compagna da amare, in unità di corpo ed anima. Un amore
che arriva alla donazione del Figlio che si fa uomo e muore «per rialzare
l'uomo e salvarlo». Amore, questo, «nella sua forma più radicale». Amore che
si riverbera in tutti gli "amori", e per il quale la Chiesa sente l'obbligo
di offrire a tutti la sua fede e la sua carità.
È entro queste coordinate che si dipana il filo del
ragionamento di Deus caritas est, la prima enciclica di Benedetto XVI.
«Siccome Dio ci ha amati per primo - scrive il Papa nell'introduzione -
l'amore adesso non è più solo un "comandamento", ma è la risposta al dono
dell'amore, col quale Dio ci viene incontro. In un mondo in cui al nome di
Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell'odio e
della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato
molto concreto».
Divisa chiaramente in due parti, la prima «speculativa»
e la seconda di «carattere più concreto», l'Enciclica parte con l'affrontare
il significato proprio del termine "amore", dove il modello dell'amore tra
uomo e donna «emerge come archetipo di amore per eccellenza». Ma dall'eros
dei greci, che la Chiesa è accusata di aver «distrutto», il concetto
sviluppato dall'Antico e soprattutto dal Nuovo Testamento è quello di
agape: che supera la riduzione a «puro sesso» dell'amore in quanto nel
momento in cui l'eros «diventa merce, una semplice "cosa", che si può
comprare e vendere, l'uomo stesso diventa merce».
Agape, al contrario,
esprime l'amore oblativo «che lascia l'egoismo per la ricerca del bene
dell'amato». Che ha in sé anche «il senso dell'esclusività» e il senso del
«per sempre», che si realizzano nel matrimonio. «In realtà eros e agape,
amore discendente e amore ascendente, non si lasciano mai separare
completamente l'uno dall'altro». E «la fede biblica... non costituisce un
mondo parallelo o contrapposto... ma accetta tutto l'uomo intervenendo nella
sua ricerca di amore per purificarla, dischiudendogli al contempo nuove
dimensioni».
La «novità» della fede biblica si manifesta nella
«nuova immagine di Dio». Creatore che ama la sua creatura, eros e
insieme «totalmente» agape che si manifestano in un amore «donato del
tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente», ma anche e soprattutto
«perché è un amore che perdona». Nel farsi uomo e nel morire del Figlio «si
compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per
rialzare l'uomo e salvarlo. Amore, questo, nella sua forma più radicale».
A questo offrirsi Gesù ha dato una presenza duratura
con l'eucaristia, dove non c'è solo l'«unione» con Dio attraverso la
comunione, ma anche un «carattere sociale» perché in essa «è contenuto
l'essere amati e amare a propria volta gli altri». Per questo fin
dall'inizio del cristianesimo si è detto «inscindibile» l'amore per Dio e
quello per il prossimo. Da qui nasce il «servizio della carità» che, con
l'annuncio della Parola e la liturgia, fa parte del triplice compito nel
quale la Chiesa esprime la sua «intima natura».
L'attività caritativa è stata oggetto della critica del
marxismo, che in ciò si è manifestato come «una filosofia disumana», perché
i poveri non dovrebbero aver bisogno di carità, ma di quella giustizia che
li escluderebbe dal bisogno. Ma «l'affermazione secondo la quale le
strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde
una concezione materialistica dell'uomo: il pregiudizio secondo cui l'uomo
vivrebbe "di solo pane"». Ciò non esclude «il necessario impegno per la
giustizia». E se «il giusto ordine della società e dello Stato è compito
generale della politica», e se la Chiesa «non può e non deve prendere nelle
sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta
possibile», essa tuttavia «non può e no n deve restare ai margini nella
lotta per la giustizia».
Così allora «l'essenza della carità cristiana ed
ecclesiale» è non solo in un intervento «abile» e «pronto», ma qualcosa che,
come ci insegna l'esempio di Madre Teresa e di tanti altri santi, richiede
«le attenzioni suggerite dal cuore». Per questo la carità cristiana «deve
essere indipendente da partiti ed ideologie», né deve essere «un mezzo di
proselitismo», in quanto «l'amore è gratuito, non viene esercitato per altri
scopi. Ma questo non significa che l'azione caritativa debba lasciare Dio e
Cristo da parte».
Da Avvenire del 26
gennaio 2006 |