Pagina Precedente Su "Crocefissi di legno e di carne"
(risposta di Enrico Peyretti)
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Gentile Signora Elena C.

Lei mi ha scritto una lettera (timbro postale del 10 gennaio) scandalizzata e addolorata, verso di me e verso il Suo Parroco, a causa dell’articolo Crocifissi di legno e di carne, pubblicato sul bollettino La voce di Mondavio, di dicembre 2003, a pagina 23, di cui mi manda il ritaglio. Questo articolo riproduce fedelmente un mio intervento in rete dei primi di novembre, salvo alcune righe conclusive, omesse forse per ragioni di spazio, che Le copio qui:

“Quelli di legno potete anche buttarli: non è peccato. Ma mettete al loro posto il volto di una vittima, ricevetene lo sguardo che obbliga a stare coi carcerati e non coi carcerieri, coi torturati e non con gli aguzzini, con gli uccisi e non con gli assassini. O il vecchio crocifisso aiuta a fare questa scelta nel mondo di oggi, oppure, se non fa questo, non vale più, è diventato inutile, abusato in senso contrario, e serve solo a far litigare le religioni e a far chiacchierare i fracassoni superficiali, occupatissimi a distrarre il popolo dalle cose importanti, pericolose da far sapere”.

Come Lei poteva facilmente capire fino dal titolo di quello scritto, tutto il ragionamento era sulla differenza fra il crocifisso (con la c minuscola), oggetto religioso, e il Crocifisso (con la C maiuscola), che è Gesù e tutte le sue membra umane che sono i sofferenti e le vittime della ingiustizia e violenza umana (vangelo di Matteo, capitolo 25: “quello che fate a loro lo fate a me”).

Anche gli oggetti religiosi vanno rispettati per ciò che significano, ma la differenza è enorme. Se il culto va all’oggetto si rischia la superstizione. Ciò accade.

Discutere ragionevolmente l’uso e la collocazione dei crocifissi-oggetto non solo non è offesa al Crocifisso-Persona (come Lei ha erroneamente capito), ma è proprio affermazione del valore enormemente differente e superiore della Persona e delle Persone dei Crocifissi rispetto agli oggetti-simbolo.

Offendere un povero, dimenticare i popoli impoveriti dal sistema dell’economia di sfruttamento e rapina, è offendere direttamente Gesù Cristo, perciò è infinitamente più grave che togliere un oggetto-crocifisso, o non comprenderne il significato per i cristiani.

Sì, penso che i cristiani per primi (che devono conoscere la differenza tra simbolo e realtà, tra oggetto e Persona) dovrebbero volere che non sia obbligatorio (come impone la legge fascista del 1929 richiamata dal governo di oggi) esporre il crocifisso nella scuola. Penso che questa dovrebbe essere una libera scelta, eventualmente, degli studenti di quella determinata classe, che lavora in quell’aula.

Penso anche che, se quella classe desidera altri simboli religiosi non esibizionisti, possa esporli, per quel rispetto reciproco e quel dialogo tra le religioni e le conoscenze, che anche il Papa insegna con gli incontri interreligiosi di Assisi (sebbene ci siano anche dei cardinali che condannano il Papa per questo).

Purtroppo è vero (al contrario di quanto dice Lei), che, nel caso recente di Ofena, sia uomini della gerarchia cattolica sia uomini politici hanno difeso la presenza del crocifisso-oggetto nelle scuole come “simbolo dell’identità nazionale italiana”. Invece – come Lei dice giustamente – il Crocifisso (maiuscolo) “non ha né bandiera né confini”. Proprio per questo il crocifisso (minuscolo) non può essere simbolo nazionale di nessuno, e non può essere imposto per legge nei luoghi, come le scuole, che sono luogo laico, cioè di tutti e non solo dei cristiani. Chi veramente offende il Crocifisso sono quegli uomini di chiesa e di politica che, alleati tra loro, lo riducono a bandiera nazionale usando segni religiosi per i loro interessi di potere, e così riducono la religione cristiana a religione civile (come quando gli imperatori romani imponevano il culto del loro potere), spegnendo la forza del Vangelo, il quale contesta sempre tutti i poteri e tutti i sistemi sociali e politici in vista di una maggiore fraternità e giustizia.

Dobbiamo renderci conto che la cristianità è finita, cioè la società non è più tutta cristiana (ma nemmeno ieri lo era, non tutti avevano la fede, però c’era molta ipocrisia nella pratica religiosa per conformismo sociale e per timore del giudizio degli altri). Invece, non è affatto finito il cammino del Vangelo di Gesù, che, come Lui ha annunciato chiaramente, è affidato a pochi credenti, che sono minoranza, che non possono esigere segni e nomi cristiani sulle istituzioni di tutti, che devono essere pronti anche ad essere perseguitati, come hanno perseguitato Lui, e in questo c’è beatitudine (Matteo 5,11-12; Luca 6,22-23) e non deve esserci delusione, scandalo, rabbia, voglia di riconquista, sogno peccaminoso di una chiesa potente.

Cara Signora, Lei non ha motivo di addolorarsi. Il Vangelo di Gesù, Vangelo della croce e della pace, nella società di oggi diventa minoritario (come il lievito nella pasta), ma più vero e più genuino di quanto sembrava ieri, in una società che era formalmente e superficialmente cristiana. Il Concilio lo ha capito, ma noi facciamo fatica a capirlo. Noi abbiamo la fortuna e la grazia di vivere un tempo difficile, tragico, violento, ma anche un tempo di fermenti evangelici. Il dialogo tra le religioni è un grande segno positivo, una speranza di pace. Una chiesa povera di potere sociale è una chiesa più fedele a Gesù. Papa Giovanni, nella Pacem in terris, ci insegnò a leggere i “segni dei tempi”, a sperare operando attivamente, a non credere ai “profeti di sventura”. Immagino che anche Lei lo ricorderà.

La saluto fraternamente con i migliori auguri di serenità

Enrico Peyretti