L a gente ha la netta impressione di
ricevere informazioni insufficienti, parziali e, forse, anche false. Ha la
sensazione d’essere manipolata e intossicata da discorsi che obbligano a
pensare in un certo modo. E non in libertà.
Si discute se questa guerra sia evitabile o no, ma si ha la sensazione che
sia già decisa. Si inviano gli ispettori a Baghdad, ma si fanno pressioni
perché il risultato della loro ispezione sia funzionale a coloro che
vogliono la guerra, con o senza l’Onu. Si induce a far credere che la
guerra sia un mezzo come un altro per la difesa di cause giuste (lotta al
terrorismo, volontà di ristabilire la democrazia in un Paese...). Anzi, si
fa credere che sia l’unico mezzo efficace, indispensabile. Anche se tutti,
a parole, dicono di volere la pace.
Davvero i tempi non sono favorevoli né per i poveri, né per le vittime
innocenti della guerra, né per quelli che credono nella pace giusta. Gli
uomini di pace vengono sbeffeggiati come "utopisti" e
"parolai", buoni solo a marciare e manifestare. C’è un luogo
comune (che occorrerebbe sfatare una volta per sempre) che vuole gli uomini
di pace come dei "poveri illusi", "anime disincantate",
mentre presenta chi è favorevole all’uso della forza come persone
"concrete" e "realiste".
Le molteplici alternative alla guerra sono presentate come una resa all’ingiustizia,
al terrorismo o ai dittatori, di cui ci si farebbe conniventi. E tutte le
azioni di pace vengono subito configurate come posizioni estreme di partiti
di sinistra, espressione di "antiamericanismo" e
"antioccidentalismo". O, nella migliore delle ipotesi, come sogni
di anime belle, ma fuori del tempo. Il messaggio del Papa e dei vescovi –
si afferma – va certamente rispettato, ma lascino fare ai politici,
perché soltanto loro sanno quello che è necessario fare.
Occorre, allora, risvegliare il senso critico e ricorrere alla
controinformazione. La stragrande maggioranza delle persone non accetta la
guerra in nessuno degli aggettivi con i quali, di volta in volta, intende
ottenere consenso: "giusta", "necessaria",
"inevitabile", "asimmetrica", "intelligente",
"preventiva".
I credenti, ma non solo loro, sottoscriverebbero volentieri il
giudizio di un autorevole testo destinato alla formazione dei cristiani
adulti: «È la guerra il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere
i conflitti. Il mondo civile dovrebbe bandirla totalmente e sostituirla con
il ricorso ad altri mezzi, come la trattativa e l’arbitrato
internazionale. Si dovrebbe togliere ai singoli Stati il diritto di farsi
giustizia da soli con la forza, come è già stato tolto ai privati
cittadini e ai corpi intermedi» (Cei, "La
verità vi farà liberi. Catechismo degli adulti", n. 1.037).
Il fatto preoccupante è che tale consapevolezza collettiva non riesca
ancora a condizionare la politica di guerra. "Tremila bombe
intelligenti e poi l’invasione via terra", titolava recentemente un
giornale per delineare la strategia della prossima guerra, preparata come
prova e spettacolo di alta tecnologia: è il radar che decide, che sbaglia o
che non sbaglia. E per gli sbagli (cioè stragi di civili, distruzioni
ambientali) si è già coniata una parola, "effetti collaterali",
che – si riconosce – vanno messi in conto. Non ci sono bombe
intelligenti se l’uomo ha ceduto a esse la sua pur limitata intelligenza.
L’umanità, anche in base alla drammatica esperienza di un passato
recente, è chiamata a fare un salto di qualità: culturale, anzitutto. Le
cause giuste si difendono in modo giusto: il negoziato, la diplomazia, il
ricorso all’autorità mondiale (l’Onu). Giovanni XXIII – ricorre quest’anno
il 40° anniversario della Pacem in terris – insegnava che la
guerra oggi, se pur lo era ieri, è semplicemente un assurdo. «È
irrazionale pensare che la guerra possa essere strumento adeguato di
giustizia». E Giovanni Paolo II, in uno dei suoi tanti interventi per la
pace, ha detto: «La guerra dovrebbe appartenere al tragico passato; non
dovrebbe trovare posto nei progetti dell’uomo per il futuro».
Tutti coloro che hanno a cuore la pace, credenti e non credenti, non
possono perdere occasione, in privato e in pubblico, per manifestare la loro
opposizione a questa guerra e a tutte le guerre: la soluzione dei problemi
non passa attraverso modalità disumane oltre ogni misura. All’ingiustizia
non ci si rassegna. Ma non si fa giustizia con il procurare un’ingiustizia
ancora più grande.
Da famiglia cristiana n. 8/2003
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