Pagina Precedente Guerra mai? Pagina Successiva

A dodici anni dalla prima Guerra del Golfo, gli Stati Uniti sembrano intenzionati ad una nuova avventura militare contro l’Irak.

L’opinione pubblica europea ha cominciato a dibattere con passione (o allarme) questa eventualità, sempre più reale.

Gli argomenti contrari o favorevoli che si sentono utilizzare, sono quasi sempre gli stessi e sono guidati da considerazioni di carattere più ampio, che riguardano la legittimità della guerra in generale.

Nel suo spettacolo su Raiuno, Benigni ha più o meno detto “Non ci sono guerre belle, le guerre sono tutte brutte. Forse è vero che qualche guerra è inevitabile, ma bisogna ricordarsi che è una brutta guerra inevitabile”.

Questo è un buon punto di partenza per una riflessione sulla legittimità della guerra da cui si può forse trarre qualche conclusione su quella che probabilmente presto inizierà.

Gli USA vogliono passare alle armi per controllare il petrolio iracheno, dicono in molti. Spesso aggiungono che sono tanti i regimi dittatoriali che opprimono le loro popolazioni, molti forse peggiori di quello di Saddam. In Corea del Nord un regime neo-stalinista ha ridotto più di venti milioni di persone alla fame e ha allestito nel suo territorio, come i pochi fortunati che sono riusciti a fuggire hanno testimoniato, veri e propri campi di concentramento. In più quel regime dispone di missili e armi atomiche.

Perché attaccare proprio e soltanto l’Irak, allora?

Infine, ci si chiede quali saranno le vere vittime della guerra, indipendentemente dalla sua motivazione, certamente tanti innocenti che abitano nei villaggi vicini agli “obiettivi militari”, molti di più in caso di invasione di terra. Se tremila persone sono morte per gli attentati dell’11 settembre, ne sono morte molte di più in Afghanistan durante la guerra che ne è seguita (approvata dai governi e dai parlamenti americano, francese, tedesco, inglese, italiano).

Sono tutti argomenti convincentissimi, anzi, pesanti come macigni: la guerra è “brutta”.

Resta da vedere se sia anche evitabile. C’è un dittatore che opprime da anni il suo popolo, mantenendolo nella povertà e nel sottosviluppo (pur non essendo probabilmente l’unica causa). Forse armi di distruzione di massa effettivamente pericolose per la comunità internazionale non ne ha, ma certo c’è da credere che non si farebbe tanti scrupoli a procurarsene qualcuna in futuro come ha già fatto la Corea del Nord.

A questo punto, allora, sono due i nodi cruciali da risolvere:

In che situazione è legittimo violare la sovranità di un paese, è giusto farlo per liberare la sua popolazione dall’oppressione?

Se la risposta è sì, verrebbe da chiedersi quali sono i mezzi a effettiva disposizione per farlo e cioè se si possa indurre un regime dittatoriale come quello iracheno al disarmo totale e magari anche a una rinuncia al potere per lasciare il posto ad elezioni sotto l’egida dell’ONU, tramite l’uso della sola diplomazia o della pressione politica/economica; o se non sia purtroppo solo la guerra il mezzo per farlo.

In tutta questa drammatica discussione di sicuro si sente la mancanza di un’Europa autorevole che, con voce unitaria e forte, sia capace di moderare la sbrigativa strategia dell’economia armata ma le condizioni e le risorse sono quelle che sono e forse non bastano a fare della guerra in Iraq una brutta guerra inevitabile

Matteo Governatori