Cari
fratelli e sorelle,
un inno alla nuova Gerusalemme come simbolo di una umanità trasformata da Dio in
un popolo giusto, pacifico e felice. Dio sarà tutto in tutti e tutti si
sentiranno figli di Dio, privi di odio e di ambizioni meschine. Il prestigio
della città santa sarà immenso e ad essa affluirà il meglio di tutti i popoli.
Questo è il progetto che Gesù Cristo ha affidato alla Chiesa perché lo realizzi
progressivamente attraverso i secoli.
Il giorno dell’Epifania, mentre in molte chiese si proclamava questo magnifico
testo di Isaia, don Vittorio Vescovo veniva chiamato alla pienezza dell’incontro
col Padre che è nei cieli.
L’amico dello Sposo, il servo buono e fedele, l’annunciatore di liete notizie,
il vescovo testimone nel tempo della Chiesa della venuta del Cristo (come il
Battista) non indica più la luce, ma entra nella luce, vi partecipa come in una
festa nuziale. Venite alla festa. Chiamate tutti al banchetto delle nozze
eterne.
Andate nei crocicchi delle strade , invitate ciechi, storpi, zoppi, i non aventi
diritto.. Il Figlio deve dare una festa. L’amore di Dio per l’umanità è
appassionato, insistente. Dio non sa essere che amore.
La storia personale di un prete, di un Vescovo è e sarà sempre una storia
sponsale, una storia d’amore, di solo amore. Noi che abbiamo partecipato alla
mensa della Parola e dell’Eucaristia investiamo tutto il nostro vivere
nell’imbandire il banchetto della misericordia, della parola, del pane di vita,
della fraternità.
Ma il prete, il Vescovo è innanzitutto un uomo, non è fatto di un legno diverso
da quello di cui tutti siete fatti: è vostro fratello. Egli continua a
condividere la sorte dell’uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso
l’imposizione delle mani, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte
di quelli che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori. Eppure i preti,
i Vescovi, proclamano la fede che vince il mondo e portano la grazia che
trasforma i peccatori e i perduti in sani e redenti.
Sono uomini: sono mandati e vi dicono con la loro povera umanità: vedete, Dio ha
misericordia di uomini come noi; vedete, per i poveri e per gli stolti, per i
disperati e per i moribondi è sorta la stella della grazia. Dicono, come
messaggeri umani dell’eterno Dio: non vi adirate contro di noi! Noi sappiamo di
portare il tesoro di Dio in vasi di creta, sappiamo che la nostra ombra offusca
continuamente la divina luce che dobbiamo portare. Siate misericordiosi verso di
noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza sulla quale Dio ha posato il
fardello troppo pesante della sua grazia. Considerate come una promessa per voi
stessi il fatto che noi siamo uomini. Voi avrete un giorno paura e orrore di voi
stessi, quando avrete sperimentato difficoltà. Il Signore mi concederà la grazia
di restare fedele anche se sono da solo con Lui, anche quando gli altri sembrano
non interessarsi, anche quando i risultati che vedo non sembrano rendere ragione
di tante fatiche e di tanti sacrifici. So che il Signore mi concederà di saper
restare con Lui. La sua fedeltà mi renderà fedele.
Con la morte di Mons. Vittorio Tomassetti, di Mons. Michetti, di recente a
Pesaro e di Mons. Bianchi a Urbino alcuni anni or sono, scompaiono figure di
Vescovi poco appariscenti, raramente segnalati dalla stampa, anche quella di
casa nostra, ma che hanno segnato il territorio dell’Alta Marca, di
profondissima umanità pastorale, di legami paterni con il clero, di incisiva
testimonianza nella vita del buon popolo di Dio, di uno straordinario silenzio
operoso.
Con don Vittorio le parole si sono riconciliate con il vissuto, le notizie si
sono riappacificate con la Buona Notizia del Vangelo incarnato, con il Vangelo
della carità, i grandi progetti pastorali con l’accompagnamento nel possibile di
tutti i giorni, l’intelligenza ha sposato la semplicità, i sogni pastorali hanno
fatto pace con il realismo.
Carissimo Padre don Vittorio dicevi il 21 ottobre scorso, al mio ingresso in
Diocesi: “Ci sono nuovi vescovi per un mondo che cambia”. Ma ricordaci che non
si possono invocare scorciatoie nel percorso cristiano. Oggi, come sempre,
necessitano apostoli-testimoni compromessi in toto con la parola annunciata.
Le più belle pagine di Vangelo vissuto lo Spirito Santo sembra scriverle
attraverso uomini di Dio umili, schietti, testimoni, anche fragili.
Volendo trovare una cornice in cui racchiudere la figura di Mons. Vittorio -
soprattutto nel sentire comune del popolo di Dio in questi anni di Episcopato a
Fano - oserei indicare il Vescovo Vittorio come l’uomo di Dio che ha
sperimentato i beni dell’umiltà.
Sono immensi questi beni dell’umiltà: l’umiltà l’ha tolto dalle illusioni, l’ha
reso realista, concreto, vero, persino fragile in alcuni aspetti.
L’umiltà gli ha facilitato la carità. Non ci accorgiamo che tutti i nostri guai
dipendono dal nostro orgoglio? Quando ci offendiamo, quando rispondiamo colpo a
colpo, quando ci irritiamo, quando perdiamo la pazienza c’è sempre in mezzo il
nostro orgoglio.
L’umiltà gli ha donato soprattutto sincerità. La sincerità con se stesso,
sincerità con Dio, sincerità con i fratelli. L’umiltà ha orrore della falsità e
abitua a smascherare in noi quello che non è autentico.
L’umiltà ha reso don Vittorio libero. La persona umile non si lascia
condizionare dai propri meriti e dalle ambizioni. L’umiltà rende liberi dalle
doppiezze, rende genuini, è una scuola di libertà. L’umiltà non ci lascia dare
sfoggio di noi stessi. Non ci lascia sottolineare i nostri meriti. Ci fa capire
che è stonato parlare tanto di noi stessi.
S. Francesco di Sales diceva: “Parlare di sé è pericoloso come camminare sulla
corda”.
L’umiltà in don Vittorio è divenuta concretezza. E’ riconoscere i doni di Dio in
noi e negli altri. E’ lo sforzo di cercar lo sguardo di Dio in tutto e non lo
sguardo degli uomini. E’ il desiderio di piacere a Dio in tutto.
L’umiltà è stata in don Vittorio sorgente di pace.
Dice San Tommaso : “L’umiltà rende l’uomo malleabile sotto l’azione della grazia
divina”. L’umile accetta i suoi limiti. L’umile sente il bisogno degli altri.
L’umile è sottomesso a Dio.
Un’ ultima attenzione alla figura di Mons. Vittorio, credente e Vescovo: il suo
rapporto semplice, lineare, libero, direi quasi disarmante, con il passaggio di
consegne a me suo successore nella guida-compagnia a questa Chiesa di Fano.
La ‘terza età’ è per certi eventi una rottura, talvolta duramente risentita: il
ritmo della vita si è allentato, la forma di lavoro che si era condotta e che ci
aveva in qualche modo modellato, è cambiata. Questo periodo della vita non va
considerato con sentimento di insuccesso e di delusione. La vecchiaia è
veramente un’ età della vita: essa è il compimento della vita adulta. Gli
anziani vanno considerati non secondo il rendimento, sono una lezione salutare:
vi è una dimensione della vita che è fatta di valori umani, culturali, sociali,
spirituali dei quali non si può calcolare il prezzo in moneta e in operatività.
L’esperienza della vecchiaia permette di misurare il valore relativo delle cose
terrene. Se l’età consiglia a ritirarsi dal ministero attivo, l’esercizio del
sacerdozio non è sostanzialmente diminuito, ma ha solo cambiato di esperienza.
Non posso non citare il meraviglioso intervento del Vescovo Vittorio la sera del
mio ingresso: “Nella vita della Chiesa il doversi dimettere da un ufficio non è
e non può essere considerato e meno ancora vissuto in negativo, come una cesura,
l’addio a una carriera e un ritorno nell’ombra o come una diminuzione, ma come
una condizione perché la realtà della Chiesa possa crescere, avanzare di uno
scatto in più (…) Un Vescovo che pretendesse mantenere le sue prerogative di
governo fino al momento della morte, come potrebbe realizzare questo…senza
correre il rischio di causare una battuta d’arresto nello sviluppo di ogni
realtà vitale, per anni amorevolmente coltivata e amata, di farla inaridire.
L’avvicendamento di cui questa sera ci troviamo protagonisti lo vivremo, da
ambedue le parti, non come dolente commiato e con lacrimoso rimpianto, ma come
una festa, che coinvolge sotto aspetti differente le due comunità di Fano e
Fermo. Da parte mia continuerò a sentirmi in famiglia nella Diocesi di Fano
Fossombrone Cagli Pergola. dando spazio anche alla dimensione della sponsalità
con la preghiera e con le residue mie possibilità di subordinato aiuto, nel
flusso della continuità”.
Con un inno dell’ottavo-nono secolo, la Chiesa saluta Maria la madre di Dio,
come “stella del mare”: Ave maris stella . Maria, stella della speranza.
La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La
vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un
viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle
della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono
luci di speranza. Gesù è il sole sorto sopra tutte le tenebre, le tenebre della
morte. Egli è il vivente, il risorto.
Ma per giungere a Lui abbiamo bisogno di luci vicine. Maria facci strada,
conduci tutti noi a Cristo tuo Figlio. Madre del buon consiglio (come tu
l’invochi nel testamento spirituale). Madre della consolazione, tienici ancora
per mano. Amen
Addio (Ad Deum) don Vittorio , Vescovo e Padre di questa Chiesa. Tu Pastore
Buono.
X Armando Trasarti
Vescovo
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