«Quando nasciamo in ospedale, c’è sempre una perfida
suora che ci preleva dalla culla e ci porta dal prete a battezzarci. Quando
stiamo per morire, occorre stare molto attenti, altrimenti ci si ritrova un
prete vicino che cerca di arruolarti fra i credenti. A un cristiano
l’intelligenza, l’istruzione non servono, anzi gli risultano dannosissime.
La religione cattolica rende gli uomini schiavi. E questo loro Dio, è un
mattacchione che si annoiava a non far niente, e allora ha creato la vita e
la morte, per perseguitarci sia da vivi che da morti. Il paradiso, il
purgatorio, l’inferno? Ma dove lo troverebbe il tempo, il personale
dell’aldilà per smistare le anime, con tutti quelli che muoiono in un
giorno?». Antologia di argomenti tratti da "Il piccolo Ateo. Anticatechismo
per i ragazzi", di Calogero Lillo Martorana, insegnante napoletano. Il
libretto circola nelle scuole del Nord Italia. Stampato a grandi caratteri,
facile di lettura, vorrebbe essere un abbecedario del giovane miscredente,
da indirizzare sulla retta via dell’avversione a crocefissi e chiese.
A dire la verità, chi legge fatica, dopo qualche riga,
a non ridere. Ce n’è di tutte, una più grossa dell’altra. Da dove si
prendono le anime per i neonati? E chi le mette «dentro»? Come andranno,
poi, le anime all’inferno? Su treni speciali? O in autobus? si domanda
l’autore. Nel commovente tentativo di parlare un linguaggio accessibile ai
bambini. I quali tuttavia, contrariamente a quanto pensano certi adulti,
sono piccoli, ma non cretini. Al di là delle ipotesi amene, l’idea della
suora che ti rapisce per battezzarti, o del prete in agguato al capezzale
del morente, rivelano qualcosa di simile a ciò che i medici chiamano delirio
di persecuzione: la fobia di una Chiesa piovra, una faccenda psichiatrica.
Beh, ti dici, in questa Italia «cattolica e oscurantista» siamo liberi,
anche di raccontare barzellette su una fede in cui pure in moltissimi si
riconoscono.
Se il signor Martorana sta preparando la versione in
arabo del suo volume, per i fedeli islamici, ci permettiamo di consigliargli
prudenza. E però l’ateismo non è questa filosofia da bocciofila. Il rifiuto
di Dio può essere una posizione umana seria, talvolta drammatica.
Meriterebbe di essere argomentato con ragioni che non siano battute da
cabaret. Duemila anni di storia, da Paolo a Tommaso ad Agostino, duemila
anni segnati da Dante, Raffaello, Michelangelo, meritano di più della
dialettica del professor Martorana. Che ai fanciulli spiega, tra una battuta
e l’altra, che «non c’è il bene sicuro e non c’è il male sicuro, tutto
dipende da come pensiamo le cose». Sotto alla leggenda delle suore
rapitrici, cenni elementari di relativismo; e la fede come consolazione per
idioti. Niente di nuovo, e anzi tutto già molto visto – con una nota di più
acida acrimonia oggi parecchio diffusa. Come di chi non si capacitasse che
quel Dio dato trent’anni fa per morto, sia fastidiosamente ancora vivo. Ma a
un certo punto il professore scrive: «È così semplice accettare che si muore
e basta!». Che bisogno c’è di Dio, insomma? È così facile accettare la
morte.
E qui, pensiamo che anche i più volonterosi apprendisti
atei si fermeranno a pensare. Semplice, accettare la morte? Anche un
bambino, se ha già perso un nonno, un amico, perfino un cane, sa che è
terribilmente difficile, rassegnarsi alla morte. Pensare a noi stessi come a
un nulla sospeso nel nulla, contraddice la più radicale pretesa dei bambini,
anche a tre anni: che l’amore di chi ti è accanto, sia per sempre. Di modo
che questo libretto lo faremmo leggere ai nostri figli. È semplice, tu
credi, rassegnarsi alla morte? chiederemmo. E a partire da questo, da quella
domanda stampata addosso come un’impronta originaria cercheremmo di dare,
della nostra speranza, la ragione.
di Marina Corradi da Avvenire |