Morto da 40 anni e più vivo che mai:
don Lorenzo Milani. Come lo prendi… punge. Sempre così. Decise di entrare in
seminario per farsi prete, ma avvertì la madre solo la sera prima, sedendosi
a cena: «Domani vado via!». Lasciava senza fiato. Unicamente prete: anche
maestro, indagatore di fenomeni sociali, catechista, provocatore sì, ma da
prete. E prete della Chiesa cattolica fiorentina, orgoglioso di esserlo
nonostante incomprensioni e difficoltà. Letto di recente su un giornale: «Ma
è così difficile riabilitare Don Milani?». Colleghi in ritardo. Due
cardinali arcivescovi di Firenze, Piovanelli e Antonelli, lo hanno detto e
mostrato con i fatti. Attuale e da ascoltare anche oggi. Qual è il segreto
di quest'uomo, di questo prete? Nel metodo, parole come sassi, o anche come
spine. Sassi di un David moderno contro i Golia di sempre. Perciò i soliti
incorreggibili, che già da vivo non lo sopportavano, sempre più soli dicono
che oggi è superato, che la sua visione del mondo è manichea… Lui ha scelto
i poveri e li ha resi coscienti della loro dignità: uomini e figli di Dio.
Superato? Oggi tre quarti del mondo sono ancora più poveri dei ragazzi di
Barbiana che lui, come diceva, ha «tirato su». Benedetto XVI ricorda spesso
la fame, le ingiustizie, le umiliazioni di miliardi di figli di Dio! E
allora? Don Lorenzo nasce nel 1923, studia, fa l'artista, conosce il mondo,
a 20 anni trova Cristo e va in seminario, a 24 è prete. Il resto è
conseguenza. Maestro a Calenzano, fa una scuola strana e disturba tanti, a
31 anni lo mandano in un paesino sperduto tra le montagne. Obbedisce, e
insiste: prete per tutti e maestro per i ragazzi: 365 giorni all'anno, 12
ore al giorno. Intanto pubblica, con la prefazione calda e prudente di un
vescovo, monsignor Giuseppe D'Avack, un libro che racconta le Esperienze
Pastorali di Calenzano: analisi sociali, prospettive antropologiche, ipotesi
di catechesi, riflessioni pastorali… Roba che pesa, come i sassi di David, e
tanti hanno paura di prenderli in fronte. Il libro è stroncato da riviste
cattoliche e viene ritirato per ordine dell'allora Sant'Uffizio. Così si
spiega - lo ha chiarito molte volte monsignor Capovilla - un giudizio duro
di Giovanni XXIII ancora Patriarca a Venezia: aveva letto solo le
stroncature di Civiltà Cattolica, poi ha mutato
parere. Giovanni Battista Montini ha già allora un giudizio diverso, e pur
nella prudenza anche da Papa ama e aiuta don Lorenzo, già malato, che gliene
è gratissimo. Lui con i ragazzi vive, parla, scrive e testimonia, è irritato
da chi cerca di utilizzarlo per dir male della sua Chiesa, cui nella fede
ubbidisce sempre anche quando gli ordini paiono crudeli e mentre in ben
altri contesti dà scandalo ricordando a tutti che «l'obbedienza non è più
una virtù». Sta con i poveri, ma ammonisce - per tutti i Pipetta che sta
crescendo - che il Vangelo ha l'ultima parola di beatitudine per la povertà
nello Spirito Santo. Critico e autocritico, rigoroso con sé prima che con
gli altri, tutto donato a Dio attraverso i suoi ragazzi… Fino alla fine, che
arriva il 26 giugno 1967. Fine? Comincia allora la sua definitiva
testimonianza, e dura da 40 anni. Ha avuto difficoltà con uomini di Chiesa
come il cardinale Florit, che forse non riuscivano a vedere oltre la misura
della loro cultura e dei loro limiti… In breve: un santo prete.
Provocatorio? Pungente e spinoso? Sì, ma è la traduzione di altre spine,
quelle della corona sulla Croce. Le ha portate il Maestro, chi lo segue
davvero le indossa, e pungono ancora. Riabilitare Don Milani? Già fatto,
quasi da sempre. 30 (trenta!) anni or sono, qui su Avvenire, 24 giugno 1977,
pagina 5, titolone: «Don Milani, un messaggio da riscoprire: ha vissuto solo
di fede». E il giorno dopo, ancora pagina 5: «I suoi connotati: l'esperienza
radicale della fede, l'amore e la passione per una Chiesa presente agli
uomini…». Per caso: stesso giornale, proprio lì accanto, tre colonne:
«Commosso saluto di Firenze al cardinale Florit». La fantasia di Dio,
misericordiosa e giusta, talora si firma.
di Giovanni Gennari |