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La scuola vera è fatta di eccezioni, rare come i professori che si rimpiangono (G. Pontiggia).

Lei per me rappresenta una di quelle eccezioni che si contano sulle dita delle mani e oggi mi sveglio con un dito in meno. Pochi sono gli insegnanti che sanno coinvolgere riuscendo a trasmettere la loro passione e ancora meno sono quelli le cui parole, a distanza di anni, ti risuonano dentro: sono i maestri di vita che col senno di poi ti sembrano una grazia immeritata.

Lei che ai nostri occhi (spesso superficiali e certamente ingenui) sembrava talvolta improvvisare la lezione, ha incarnato, letteralmente, il processo della formazione della conoscenza non sempre lineare e prevedibile nel suo delinearsi.

Solo adesso, da adulta, io capisco davvero il suo contributo originale tra rigore e fantasia, tra logica e caos.

Come solo ora mi rendo conto di quanto volesse sfruttare ogni attimo per dire e dare.

Lei che ha fatto entrare in classe mostri sacri della filosofia e della pedagogia come Platone, Aristotele fino a Rousseau e a Kant è stata per me quell’esempio, alto e al contempo umano, sempre autentico, di morale e moralità.

Innanzitutto perché non ha plagiato le nostre fragili identità in evoluzione; in secondo luogo per non averci venduto come vera l’illusione che tutto quanto avremmo potuto imparare a scuola potesse in qualche modo bastare a colmare le infinite vie del sapere e della cultura.

Lei ha aperto le nostre menti alla storia del pensiero, alla storia dell’umanità e alla nostra storia di persone nel mondo contemporaneo. Perché “aprire le finestre” significava posare lo sguardo sul passato proiettandolo sul presente, ampliare progressivamente l’orizzonte di riferimento. E così fu la prima a farci toccare la carta stampata dei giornali come tuffo nella realtà, portandoci a “sporcare le mani” (e lei pure era insieme a noi), a non fermarci alla lettura ma problematizzando  tutto quanto avesse a che fare con l’uomo e le sue grandi domande. L’importante era che ce le porgessimo, anche se questo significava ammettere la possibilità che le risposte non le trovassimo subito, se non mai. Una piccola grande rivoluzione.

Così giorno dopo giorno lei ci ha aperti alla consapevolezza che fosse necessario misurarci con tutti i come e i perché; passo dopo passo ci ha condotti verso un modo di essere nel mondo più responsabile, e per ciò stesso etico. Un modo nuovo mai banale, mai definitivo, sempre intenso e profondo.

E da vera educatrice ha messo a disposizione non solo tutte le proprie competenze professionali ma anche le proprie risorse umane: in questo è stata davvero generosa.

Le devo tanto perché mi ha insegnato ad apprendere oltre i pregiudizi e le convenzioni, ad appropriarmi di una personale chiave di lettura e ad affermare la mia individualità oltre il caos e oltre l’approvazione; e anche quando questo può comportare la solitudine, a non sentirne il peso, a non conformarsi o a ritirarsi.

Ha alimentato il mio desiderio di conoscere, nutrendolo senza saturarlo mai per non toglierci il gusto della scoperta, per non contaminare il sapore della conquista con l’illusione di aver raggiunto un approdo finale.

Perché la conquista era ripartire ogni volta, per altri lidi e altre vette, come se il nostro viaggio insieme non dovesse concludersi mai con una certezza.

Tutto questo mai ha tolto spazio per una pausa, per una sosta o anche per un’esitazione: perché il dubbio andava (e va sempre) coltivato. Si, perché il dubbio non solo ce lo concedeva, ma distrattamente e astutamente, lo insinuava fino a che ci apparisse urgente.

Lei è stata grande ricoprendo in modo autentico il ruolo di ponte, di trampolino, di faro, di grillo parlante e di arco.

Ci ha incalzato buttando ad ogni lezione il sasso un po’ più in là, spingendoci alla ricerca di senso.

Anche oggi, come allora, Lei è un po’ più avanti di noi e ci invita a cercarla, oltre quello che vediamo e sentiamo.

Grazie prof.

Grazie Rosanna.

Mondavio, 30 gennaio 2010

V.F.