Pagina Precedente Eluana, la sua morte le nostre domande Pagina Successiva

Il silenzio della lastra di marmo che copriva Eluana Englaro ora si è rotto, ma rimane il nostro, forse finalmente non ribollente, privo del rumore delle parole polemiche e degli interventi di schieramento, ma ricco della nostra umanità condivisa e partecipata dinanzi ad una realtà che sempre ci supera e ci interpella.

Il bozzolo di pietra si è aperto verso quel giardino in cui il Creatore passeggia alla brezza della sera e parla con gli uomini e con le donne, guardandoli in volto.

Non si percepisce estraneità e tristezza in questo lasciare noi ancora viandanti, perché Eluana ha impresso una traccia feconda che ha suscitato le grandi interrogazioni, sempre micidialmente senza esiti, ma simultaneamente lo slancio delle risposte concrete, intrise di dedizione, di amore, per mesi e anni di prossimità gratuita.

La sua debolezza non parlò il linguaggio dell’inefficienza, dell’inutilità ma quello della fragilità della nostra argilla che, improvvisamente, può cedere nella sua struttura e ridursi ad un ammasso informe.

Nessuno nella vita è forte oppure ha acceso un contratto di garanzia di riuscita, di vigore, di potenza; tutti se non sono deboli, possono diventarlo domani. Tutti, solo se coesi e solidali possiamo arginare la nostra argilla, ridarle forma con qualche colpo di pollice amico.

Una fecondità nuova può venire a noi proprio da Eluana, una presa di coscienza verso gli inermi, verso chi non può neppure tendere la mano ma ha bisogno che sia afferrata per esistere.

 Cristiana Dobner carmelitana scalza

da “il nuovo amico”