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La spiritualità del Popolo Rosso

(Seconda parte)

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Gli Indiani sono quindi ben lontani dall’immagine che di loro si sono fatti i bianchi: pagani, miscredenti e idolatri. Occorre tuttavia allontanarsi dalla concezione di religione prevalente nella cultura occidentale, nel cui contesto pure il termine ha avuto origine, con la sua enfasi sui sistemi di dogmi e credenze e sul concetto di una o più divinità. Sebbene questi elementi non siano del tutto assenti nelle religioni native americane, essi non ne costituiscono affatto il nucleo centrale e dominante: molto spesso le religioni native non si presentano come insiemi coerenti e sistematici di credenze e nozioni condivise da tutti i membri della comunità e, in numerosi casi, la nozione di un dio o di un certo numero di divinità personali ben delineate, sembra essere il risultato di recenti influenze da parte della religione cristiana. Molto spesso le religioni native si presentano come sistemi di pensiero e di azioni relativamente fluidi e indefiniti, dove, all’interno di quadri generali di riferimento forniti dalla cultura del gruppo, gran parte della esperienza religiosa viene lasciata al singolo individuo, alle sue capacità e alla sua sensibilità personale. L’universo religioso dei popoli nativi sembra correlato alle nozioni di esperienza personale, di sviluppo delle facoltà di percezione non ordinaria, di ricerca di una via di conoscenza realizzata attraverso il sogno o la visione, di pratiche rituali che si dimostrino efficaci nella soluzione di problemi esistenziali e quotidiani.

Secondo questa accezione, le attività propriamente religiose non sono un aspetto separato e isolato della vita sociale e individuale, ma coinvolgono vari aspetti della vita quotidiana e sono a volte difficilmente isolabili da contesti diversi. La caccia, l’agricoltura, la preparazione di utensili, l’abbattimento di un albero e la costruzione di un edificio sono attività inestricabilmente connesse con pratiche di ordine religioso e rituale.

Nelle società native americane la religione non può essere ridotta a un affare privato o a dottrine in cui si crede. La vita religiosa trasporta invece verso la vitalità che riempie le circostanze ordinarie e verso i poteri che rendono il mondo concreto. L’esperienza religiosa apre il terreno al teatro e alle arti, alla musica, alla poesia e alla danza, al disegno e all’architettura. La vita religiosa comprende la spiritualità individuale e collettiva così come le attività economiche e diverse forme di conoscenza. In queste circostanze la religione diviene la base per una corretta percezione del mondo naturale e della natura umana, e inoltre della terra, dello spazio e del tempo.

Tuttavia è vero che la concezione del male, del peccato, è poco sviluppata nella religione indiana, e in alcune tribù è del tutto assente. Non esistono di conseguenza Inferno e Paradiso e le cattive azioni, comprese quelle peggiori come l’assassinio, sono espiate sulla terra e nessuna colpa è portata con sé dopo la morte: chi non è vissuto in armonia con la natura non merita una punizione nell’aldilà, perché vivendo così sulla terra ha già espiato abbondantemente. Un comportamento corretto è da ricercare e seguire solamente per essere in armonia con il creato e con la propria coscienza, come virtù fine a se stessa. La concezione di una umanità peccatrice per natura, come hanno tentato di far capir loro i missionari cattolici, è a dir poco impensabile: tutta la natura è buona e l’essere umano è parte di essa.

L’atteggiamento di rispetto nei confronti della natura non è legato a nessuna visione di tipo ecologica, la quale appartiene più invece alla dualista concezione del mondo occidentale, ma deriva dal carattere sacro e spirituale che ad essa attribuiscono nella sua totalità.

 All’opposizione uomo/natura propria della cultura moderna, il pensiero dei Nativi Americani contrappone la relazione natura-uomo: l’uomo è un essere della natura, il suo vero esistere è solo un esistere nella natura, perché l’uomo non è affatto qualcosa di separato, diverso e distinto dalla natura, egli è natura. Questo misticismo naturalista degli Indiani d’America è il legame olistico e di reciprocità che essi sentono con la Terra e la natura, è un legame spontaneo essenzialmente spirituale e religioso: “un’ecologia sacra” a cui anche la cultura occidentale cerca di avvicinarsi contrastando l’idea dominante di opposizione uomo/natura. Gli ecologisti di oggi rivalutano la cultura nativa americana per aiutare a porre fondamenta più solide alla filosofia e alla cultura ecologiche, poiché se la vita degli Indiani non può prescindere da un rapporto in armonia con la natura, per gli occidentali si tratta di una decisione e di una presa di coscienza impegnative che riconducano alla riscoperta del rispetto per la terra che è il luogo dell’essere.

Il profondo senso religioso, con cui gli Indiani affrontano quotidianamente la vita, è espresso molto bene dal simbolo del Sacred Hoop (Cerchio Sacro) dei Sioux. Come le stagioni si susseguono l’una all’altra, come la fine di ogni giorno è l’inizio del successivo, così ogni cosa, compresa la vita dell’uomo, si muove in un cerchio sacro: si tratta semplicemente di sentirsi parte di tale movimento circolare e di lasciarsi portare nel cerchio della vita, il che equivale a vivere ogni giorno in una dimensione di sacralità.

La situazione religiosa degli Indiani d’America, dopo aver subito dure repressioni e distorsioni nel corso dei secoli, si presenta a tutt’oggi ancora forte e radicata, grazie soprattutto al mantenimento e recupero di importanti tradizioni, nonostante la cultura occidentale continui ad alterarne importanti concezioni , come è avvenuto con la New Age.

MITAKUYE OYASIN
Elisabetta Rossi

La prima parte è stata pubblicata
sul bollettino precedente