Un giovane, Angelo, scomparso in un
ospedale del nord per aver contratto l’AIDS prima di morire ha scritto
questa lettera alla mamma.
“Sono solo in questa stanza dell’ospedale, richiamo
alla memoria immagini e ricordi. Mia mamma sa che devo morire e non me lo
dice. Oggi le parlo per dirle grazie della vita e chiederle perdono se
prima non l’ho valorizzata. Che strano, ora che la mia vita mi lascia, l’amo,
la cerco, la sento bella. Le vorrei dire di fermarsi, di non lasciarmi
perché possa guardare ancora un poco mia madre. So che le sto togliendo
un dono. Non posso comandare la morte, ci provo, almeno per illudermi di
andare oltre il tempo che mi resta e lì mettere un desiderio: stare
accanto a mia madre”.
Una lettera toccante che induce
tutti, giovani e adulti, ad una seria e profonda riflessione. Due drammi:
quello di Angelo ormai conscio di essere giunto alla fine e quello della
mamma che amorevolmente lo assiste e lo conforta. Una vicenda come tante del
nostro tempo dove il destino di un giovane è stato segnato da una esistenza
travagliata in cui la trasgressione e le cattive compagnie sono state le
principali regole di vita. Possiamo solo immaginare i numerosi e angoscianti
appelli della mamma rivolti al figlio perché si ravvedesse e caduti
purtroppo nel nulla. Come pure le notti in bianco e trepidanti vissute dalla
stessa in attesa di un ragionevole rientro in casa del suo caro. Una breve
considerazione a questo punto sembrerebbe doverosa. Ai giovani che vivono il
disagio della modernità occorre dare risposte chiare e convincenti ma, come
dimostrano i fatti, ciò è piuttosto difficile. La nostra società, così
complessa e variegata, è sempre più spesso troppo tollerante e vede di
anno in anno cadere i valori morali fondamentali. In questa situazione si fa
presto a regredire, a scivolare nel baratro e nei livelli più bassi di
civiltà. Tuttavia non bisogna rassegnarsi, non bisogna abbassare la
guardia. Occorre avere fiducia e fronteggiare con saggezza e tempestività
tutte le situazioni disgreganti che si profilano all’orizzonte.
Marco Fiorelli
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