Pagina Precedente Fino a che punto il progresso? Pagina Successiva

Sembra proprio che il progresso voglia presentare il suo conto agli uomini che lo hanno agognato e promosso negli ultimi cento anni. Un conto piuttosto salato, sia in termini di salute che di denaro, e che può essere riassunto in una sola parola dal significato eloquente: “inquinamento”.

Questo fenomeno, meglio sarebbe chiamarlo dramma, è senz’altro figlio dell’evoluzione dei tempi e dell’emancipazione dei popoli, del loro costante progredire e del loro continuo miglioramento.

Chi vive in campagna o nei piccoli centri non è toccato dal problema, non se ne accorge, non l’avverte e non ha motivo alcuno per lamentarsi. Ma ben diversa è la situazione per tanti altri sfortunati che sono costretti, loro malgrado, a convivere quotidianamente con i gas di scarico dei veicoli, coi rumori, con le ciminiere delle fabbriche, con i rifiuti di ogni genere male accantonati. In questa situazione se non piove a sufficienza l’aria diventa irrespirabile e le autorità sono costrette a prendere drastiche misure per limitare i danni.

Il blocco totale della circolazione dei veicoli è ormai una triste realtà. Gli appelli alle persone più deboli, bambini e anziani, perché non escano di casa sono frequenti. Non è la prima volta che alcune località devono registrare la caduta di piogge definite acide.

Negli ultimi decenni la produzione agricola in rapporto alla superficie coltivata è notevolmente aumentata. Ciò è di certo un bene ma il tutto a che prezzo è stato ottenuto? L’uso massiccio dei fertilizzanti chimici e degli antiparassitari infatti, provoca l’inquinamento delle falde acquifere nel momento in cui cade la pioggia, poiché questa, penetrando nel terreno, porta con sé tali deleterie sostanze.

Per i prossimi decenni l’approvvigionamento dell’acqua potabile costituirà un serio problema per gran parte della popolazione della terra. Ma, a detta degli esperti, la cosa più preoccupante è il riscaldamento progressivo del nostro pianeta a causa dell’uso incontrollato delle fonti energetiche più comuni: petrolio, gas e carbone. Il calore prodotto non riuscirebbe a salire negli strati più elevati dell’atmosfera e, rimanendo a contatto della terra, provocherebbe gradualmente lo scioglimento dei ghiacciai e l’alterazione del clima (effetto serra).

Dall’università di Zurigo, nota nel mondo per le sue ricerche, viene un allarme: i ghiacciai europei hanno perso dal 30 al 40% della superficie e il 50% della massa. Siamo ai minimi storici degli ultimi 500 anni. Di questo passo la metà di questi straordinari serbatoi si scioglierà prima del 2030.

Non mancano tuttavia le buone intenzioni. Nel 1997 è stato firmato a Kyoto un protocollo in cui i paesi partecipanti si sono impegnati a ridurre le emissioni di alcuni gas del 5% entro il 2008.

Quante volte sentiamo ripetere che le stagioni non sono più come una volta? Tutto ciò determina un costo sociale altissimo. Malattie e conseguenti assenza forzate dal lavoro, compromissione delle bellezze naturali e ingenti somme spese per intervenire al fine di arginare i guasti.

L’uomo dovrebbe aver capito ormai che, prima di ogni altra cosa, conta la salute e la qualità della vita per cui tutto ciò che può mettere a rischio beni così preziosi e insostituibili andrebbe usato con doverosa cautela. La rotta seguita dai governi e da molte istituzioni internazionali negli ultimi tempi sembrerebbe quella giusta.

Marco Fiorelli