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L'angolo dei poeti

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Il Pescatore

Il mare era una tavola, così diceva ogni passante, anzi c'era chi diceva pure che era liscio come un pavimento e che ci si sarebbe potuto ballare sopra. La luna di tanto in tanto faceva capoccella, colorando il mare ora d'argento ora d'azzurro.

Gli amici pescatori Gioacchino, Giacomo e Giovanni, come ogni mattina alle ore tre erano pronti per la pesca, però, però. .. però era qualche giorno che i pesci non entravano nella rete e loro erano dispiaciuti perché con il ricavato dovevano sostenere la loro famiglia, la moglie casalinga e due figli piccoli con l'aggiunta di una loro nonna e nonno. Che con la loro esperienza sapevano completare la buona famiglia: per questo si può dire beata quella famiglia dove ancora ci sono i nonni.

Mentre i tre pescatori spingevano la barca verso il mare vennero illuminati da un bagliore e dalla figura di un uomo che con voce squillante disse: “Aspettatemi lì un attimo, ché io venga vicino!”

"Tu chi sei?" gli chiesero. "un pescatore come voi" fu la risposta.

"Bene", proseguì, "spingiamo la barca verso il punto giusto e lì gettiamo le reti in attesa che il gallo canti per la terza volta, poi le tireremo."

Difatti, poco dopo, si sentì per la prima volta chicchirichì, poco dopo la seconda volta e alla terza miracolosamente le reti erano pesantissime.

Con molto sforzo riuscirono a tirarle in barca e a riempire tre grosse ceste.

"Caro amico", gli dissero Gioacchino, Giacomo e Giovanni, "è tutto merito tuo. Ma chi sei? Chi ti ha mandato? Quale è il tuo nome?"

Allora Gesù, che era proprio lui in carne e ossa, disse: "Sono colui che preso il pane lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo 'prendete e mangiatene tutti, questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi e che allo stesso modo prese il calice del. vino e lo diede loro dicendo: bevetene tutti, questo è il calice del mio Sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.

Con queste ultime parole, con una grande luce, come quando era venuto, sparì. Ma prima che le porte del cielo si aprissero, mandò un altro messaggio: "Vogliatevi bene, siate uniti, e pregate,pregate! lo, oltre ad essere il Pescatore dei pesci, sono il Pescatore delle anime, perché tutti vi voglio portare in Paradiso"

I tre pescatori erano sbalorditi con tutte queste belle parole e abbracciandosi dissero in coro: "Grazie, Maestro; Tu sei e rimarrai sempre per noi il Re dei Re".

Portarono le tre ceste di pesci al magazzino di vendita e con i denari ricavati si sentirono ricchi.

Quel giorno i tre pescatori tutti riuniti fecero una gran festa e un buon pranzo come in un'unica famiglia, terminando con un ballo ed una quadriglia fino a tarda sera invocando il Re dei Re con una santa preghiera, più o meno così:

"Il tempo è passato, come nella canzone 'le mamme invecchiano, i figli crescono, e i loro Papà, con i capelli che imbiancano, alla loro età hanno sospeso di pensare, ma un giorno prima di andare alla casa per l'eternità, dobbiamo ritornare lungo il nostro mare".

Qualche giorno dopo si sono ritrovati insieme. L'emozione era tanta. Per asciugare una lacrima cantavano una bella canzone: "O mare Napuli tu sei na poesia" e con questa bella poesia termina il mio scritto fatto con amore, con il cuore e con tutta l'anima mia.

Edoardo Persi

 

Mondavio, la crescia ed altro

Paese di longevi, sapienti
a dosare la vita e la giornata,
come la centenaria Zia Augusta
sempre in vita e sempre in canto.

Altri tempi, legati a quei nomi
di maestri, buoni educatori,
i maestro Pierini, il Pierfederici,
quando l’aria era quasi pura
e l’acqua di cannella era per tutti
dolce come un nutrimento.

C’erano il teatro e la Pretura,
i palchi e i posti in chieda con le targhe ,
le famiglie, i romanzi locali
e il poeta Luigi Grilli.

Ci fu un mondo senza tivù,
la radio era di pochi e i ragazzi
imparavano le nuove melodie
sotto le finestre di casa Barbadoro
Raniero, una vita semplice.

Si cantava molto, madri e figlie,
in chiesa (don Tonelli, giovane
organista già famoso), a casa
opere e canzonette nuove.

C’erano i venticinque della Banda
di Peppe, Arturo, Nenè e Vittorio ragazzo
che imparava a solfeggiare.

C’era la “guerra fredda” e il focoso
Don Alberto. Oggi tutto questo
è ricordo di vecchi. Ma la figura,
che a tutti ricordava allegramente
Mondavio, era Ghetàn, con le sue uscite
(“Poca mondezza, poco mangiare”.
“E’ bello il mare, è bella marina
ma la più bella è la mia Clementina”)
e con gli auguri degli onomastici
e tutte le indicazioni del tempo
all’alba, per chi cominciava
a smuoversi per andare al lavoro.

 

 

La Crescia di Pasqua era poesia,
attesa lungamente con la fase
della luna, sempre nuova e incerta,
la cura religiosa della Crescia.
Legate le campane, i bambini
chiassavano con la “battistrangola”
e con il “bazzuchèto”, il rametto
d’olivo sulle panche, e Bruto poi
li rincorreva per la chiesa quando
battevano forte col pestello
del sale, lieta poesia vissuta
spensieratamente dai ragazzi.

Dunque la Crescia. Il lèvito era tutto
il segreto. Tempi in cui lo si prestava
e ricambiava tra i vicini di casa.
La povertà era quasi nascosta,
con un suo pudore silenzioso.
Il lèvito ferveva nella massa
poi le coperte aiutavano la crescita
nelle teglie all’arola a lievitare,

Poi portate adagio, camminando
lentamente perché non debordasse
il trionfo della pasta lievitata.
La cottura premiava con l’odore
che riempiva strade e case
e vicoli del paese, usciva
e si spandeva tutt’intorno.

Sciolte le campane, si tagliava con festa
la benedizione del sapore
con gli inviti fra le donne di casa
per i giudizi attenti sui risultati.
Così ogni generazione vive la sua favola
e la Crescia ne collega vecchie e nuove.

Ernesto Cipollone