La
famiglia è il principale protagonista dell'educazione. Il bambino in essa
comincia ad essere senso di se stesso e consapevolezza degli altri, in essa
nasce la prima relazione, il primo Sé. Un buon rapporto con i genitori favorisce
un giusto sviluppo della vita, un cattivo rapporto è causa di turbe del
carattere e del comportamento. L'influenza della famiglia è decisiva perché in
essa il bambino, fin dai suoi primi anni, struttura
la propria coscienza, si forma il suo equilibrio, tanto che a cinque anni tutto,
o quasi, è giocato sul piano della formazione della personalità. La famiglia è
il luogo della appartenenza dove si sviluppa e ricerca la propria identità che
sarà premessa alla identità adulta. La famiglia di cui parlo è la vostra di
oggi: non ho nostalgia del passato; vi vedo in casa al mattino quando vi mettete
in viaggio; la sera, quando finalmente vi rivedete e state un po' insieme per
cena almeno; quando uscite per andare al supermercato o cercando riposo nel fine
settimana. Quando andate alla Messa, qualche volta insieme, altre volte ognuno
per conto suo. Penso parlando a voi coniugi e figli di oggi normali, ma belli.
E' possibile imparare ad
educare? I genitori dovrebbero imparare che il miglior investimento di tempo è
quello dei momenti che trascorrono con i loro figli. L'educazione delle virtù
umane è alla base dell'educazione cristiana. Nell'amore tra marito e moglie il
bambino si sente protetto e sperimenta il calore familiare che è alla base di
ogni maturazione e sviluppo umani. Impariamo l'affetto e la fiducia verso Dio
Padre in primo luogo attraverso i nostri genitori.
Una delle principali
caratteristiche del rapporto educativo è senz'altro l'esercizio dell'autorità.
Il vero senso dell'autorità sembra essere quello dell'autorevolezza. Da un punto
di vista educativo, un genitore è autorevole nei confronti del figlio quando,
con doti di maturità, di coerenza e di fascino, incarna in sé i valori umani e
di fede della tradizione in cui vive. L'autorevolezza, frutto di esperienza e
competenza, consiste nell' affascinare e nel rassicurare l'altro con la propria
esistenza adulta, matura e coerente. Il figlio dovrebbe avvertire il fascino e
la bellezza della scelta fatta e proposta dal genitore e desiderare di poterla
vivere anche lui, di voler far proprio il modo in cui il genitore ha affrontato
la vita.
Le parole dette senza il
fascino di una vita coerente e onesta non possono che essere percepite come
autoritarie.
Diceva don Bosco: "Bisogna che
i figli non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati".
e mi vuoi bene, dimmi di no!
L'amore non consiste in un buonismo vago e indifferenziato, ma in una autentica
ricerca del bene dell' altro. Ma il bene dell'amato si raggiunge anche dicendo
dei 'no'.
L'atteggiamento richiesto ai
genitori è doppio: positivo, come rinforzo delle capacità e delle inclinazioni
buone del figlio; negativo, come contenimento degli aspetti inaccettabili e dei
comportamenti inadeguati.
Le regole che costituiscono dei
'no' ad alcuni comportamenti ci ricordano la presenza del limite in noi. Occorre
imparare a dire dei 'no', cioè trovare il modo e il momento più opportuno per
insegnare il limite.
La famiglia dovrebbe essere il
luogo della confidenza e dell'accoglienza; il luogo dove non si teme di essere
se stessi fino in fondo e senza maschere, dove nessuno ha paura di esternare i
propri sentimenti, dove ognuno si sente importante per ciò che è e per quello
che dice. Parlarsi in famiglia è un esercizio che contiene in sé numerosi
risvolti umani, quali l'ascoltare, l'incoraggiare, il valorizzare, il
coinvolgere.
Non è sufficiente dire parole o
chiacchiere; una vera comunicazione si attua nel cogliere il punto di vista
dell' altro, il capire le sue aspirazioni, le sue aspettative, i messaggi non
verbali.
La condivisione della propria
vita interiore costituisce uno degli aspetti più profondi e costruttivi del
dialogo in famiglia, tra marito e moglie, tra genitori e figli e tra fratelli.
La comunicazione, se vuol essere completa e autentica, non può limitarsi a
ragionamenti, opinioni, notizie da dare all' altro, ma deve arrivare ad essere
un 'dire se stessi', chi sono io, ciò che provo, quello che sento di fronte a
fatti ed avvenimenti. Non basta dire le proprie idee o le cose da fare.
Aprire il proprio animo
all'altro è un segno di grande comunione ed esige una notevole capacità di
ascolto. Chi sa davvero ascoltare, ti sente anche quando non dici nulla. Si
giunge alla vera e propria empatia. Aprirsi vicendevolmente il cuore in
profondità produce vita in pienezza e dà speranza. La forza e la vivezza dei
sentimenti condivisi fa capire che ogni persona ha bisogno dell' amore dell'
altro e questo rigenera la vita. Ogni vero educatore sa che per educare deve
donare qualcosa di se stesso.
In un mondo che da un lato
esalta il benessere e assolutizza il piacere, e che dall'altro ha privato la
sofferenza e il dolore delle loro capacità di formare alla vita, parlare di
educazione alla fatica e di impegno serio e laborioso può sembrare davvero fuori
luogo.
La costanza e la pazienza di
chi costruisce con gioiosa fatica la propria vita costituiscono un grande valore
educativo: cogliere l'importanza di un cammino impegnativo e a volte faticoso
porta a guadagnarci le cose, i valori, gli obiettivi. Sono in gioco gli aspetti
centrali dell'educazione: la formazione alla responsabilità, alla capacità di
affrontare le difficoltà e gli imprevisti della vita.
In che cosa consiste
l'educazione alla fatica? Sostanzialmente in questo: porre davanti ai figli
obiettivi realistici, sostenerli nella volontà di raggiungerli, confermare i
risultati raggiunti, trasformare le sconfitte in acquisizioni positive aiutando
li ad un sano recupero dell'insuccesso.
Amare i propri figli non vuol
dire risparmiarli dalla fatica; piuttosto significa rispettarli, non chiedere
loro un impegno sproporzionato alle loro capacità, comunicare l'orgoglio della
vittoria contro le difficoltà, offrire loro la possibilità di sperimentarsi
anche con obiettivi difficili e impegnativi.
Uno degli obiettivi primi e
fondamentali del compito educativo dei genitori è proprio quello di aiutare i
figli a diventare adulti, cioè ad essere autonomi e auto sufficienti.
Il problema educativo dell'
autonomia è strettamente legato a quello della sicurezza affettiva, dell'
accoglienza e dell' amore. Qualsiasi genitore sa benissimo che il figlio ha
bisogno di essere accolto e amato. Chi si sente accettato e desiderato
costruisce dentro di sé un solido nucleo di personalità che gli permetta una
sufficiente autonomia e indipendenza di fronte al mondo.
L'amore che fa crescere la
sicurezza e l'autonomia è quello che responsabilmente lascia spazio di
espressione all' altro, è quello che con accortezza è sempre pronto ad
accogliere anche chi sbaglia perché sa che la persona umana non coincide mai con
i propri errori.
Il punto forse più delicato
dell'opera educativa è trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la
disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per
giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene
preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro.
Un cristiano non può
dimenticarsi di educare i propri figli alla fede o pensare che essa sia soltanto
un optional. E' triste vedere che anche dei buoni genitori cristiani si fanno in
quattro perché ai loro figli non manchi niente delle cose materiali, d'altro
canto non si curano di dar loro l'unica realtà vera ed eterna, quella che sarà
la forza della loro vita. Un credente non può dimenticarsi che i suoi figli
hanno innanzitutto un' anima. Da qui nasce il fondamentale compito affidato alla
famiglia di trasmettere la fede cristiana. Che cosa vuol dire? Non si tratta
semplicemente di insegnare preghiere, di recitare formule, di imparare i
comandamenti; non è una trasmissione astratta o teorica di un sapere religioso.
La trasmissione della fede è un qualcosa di molto più radicale e profondo perché
fa parte integrante della comunicazione affettiva. Un figlio che cresce
respirando un sano ambiente affettivo si apre fiducioso alla vita, agli altri, a
Dio; in una parola, impara la fede. Infatti la fede non è semplicemente un
contenuto, ma è primariamente una relazione, un rapporto vitale, un legame
amoroso con Dio Padre.
"Dio è amore e vive in se
stesso un mistero di comunione e di amore. Creandola a sua immagine Dio iscrive
nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la
responsabilità dell'amore e della comunione" (Giovanni Paolo II Familiaris
consortio, ll )
Non si può comprendere Dio se
lo separiamo dalla capacità di relazione che mette in comunione il Padre, il
Figlio e lo Spirito Santo. Dio non è solitudine, se non fosse stato in grado di
esprimere in se stesso una comunione di persone non avrebbe potuto creare gli
uomini capaci di ricevere e donare amore, a Sua immagine e somiglianza.
Armando
Trasarti
Vescovo