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La famiglia che educa
Messaggio del Vescovo alle famiglie - Pasqua 2009

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La famiglia è il principale protagonista dell'educazione. Il bambino in essa comincia ad essere senso di se stesso e consapevolezza degli altri, in essa nasce la prima relazione, il primo Sé. Un buon rapporto con i genitori favorisce un giusto sviluppo della vita, un cattivo rapporto è causa di turbe del carattere e del comportamento. L'influenza della famiglia è decisiva perché in essa il bambino, fin dai suoi primi anni, struttura la propria coscienza, si forma il suo equilibrio, tanto che a cinque anni tutto, o quasi, è giocato sul piano della formazione della personalità. La famiglia è il luogo della appartenenza dove si sviluppa e ricerca la propria identità che sarà premessa alla identità adulta. La famiglia di cui parlo è la vostra di oggi: non ho nostalgia del passato; vi vedo in casa al mattino quando vi mettete in viaggio; la sera, quando finalmente vi rivedete e state un po' insieme per cena almeno; quando uscite per andare al supermercato o cercando riposo nel fine settimana. Quando andate alla Messa, qualche volta insieme, altre volte ognuno per conto suo. Penso parlando a voi coniugi e figli di oggi normali, ma belli.

E' possibile imparare ad educare? I genitori dovrebbero imparare che il miglior investimento di tempo è quello dei momenti che trascorrono con i loro figli. L'educazione delle virtù umane è alla base dell'educazione cristiana. Nell'amore tra marito e moglie il bambino si sente protetto e sperimenta il calore familiare che è alla base di ogni maturazione e sviluppo umani. Impariamo l'affetto e la fiducia verso Dio Padre in primo luogo attraverso i nostri genitori.

Una delle principali caratteristiche del rapporto educativo è senz'altro l'esercizio dell'autorità. Il vero senso dell'autorità sembra essere quello dell'autorevolezza. Da un punto di vista educativo, un genitore è autorevole nei confronti del figlio quando, con doti di maturità, di coerenza e di fascino, incarna in sé i valori umani e di fede della tradizione in cui vive. L'autorevolezza, frutto di esperienza e competenza, consiste nell' affascinare e nel rassicurare l'altro con la propria esistenza adulta, matura e coerente. Il figlio dovrebbe avvertire il fascino e la bellezza della scelta fatta e proposta dal genitore e desiderare di poterla vivere anche lui, di voler far proprio il modo in cui il genitore ha affrontato la vita.

Le parole dette senza il fascino di una vita coerente e onesta non possono che essere percepite come autoritarie.

Diceva don Bosco: "Bisogna che i figli non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati".

e mi vuoi bene, dimmi di no! L'amore non consiste in un buonismo vago e indifferenziato, ma in una autentica ricerca del bene dell' altro. Ma il bene dell'amato si raggiunge anche dicendo dei 'no'.

L'atteggiamento richiesto ai genitori è doppio: positivo, come rinforzo delle capacità e delle inclinazioni buone del figlio; negativo, come contenimento degli aspetti inaccettabili e dei comportamenti inadeguati.

Le regole che costituiscono dei 'no' ad alcuni comportamenti ci ricordano la presenza del limite in noi. Occorre imparare a dire dei 'no', cioè trovare il modo e il momento più opportuno per insegnare il limite.

La famiglia dovrebbe essere il luogo della confidenza e dell'accoglienza; il luogo dove non si teme di essere se stessi fino in fondo e senza maschere, dove nessuno ha paura di esternare i propri sentimenti, dove ognuno si sente importante per ciò che è e per quello che dice. Parlarsi in famiglia è un esercizio che contiene in sé numerosi risvolti umani, quali l'ascoltare, l'incoraggiare, il valorizzare, il coinvolgere.

Non è sufficiente dire parole o chiacchiere; una vera comunicazione si attua nel cogliere il punto di vista dell' altro, il capire le sue aspirazioni, le sue aspettative, i messaggi non verbali.

La condivisione della propria vita interiore costituisce uno degli aspetti più profondi e costruttivi del dialogo in famiglia, tra marito e moglie, tra genitori e figli e tra fratelli. La comunicazione, se vuol essere completa e autentica, non può limitarsi a ragionamenti, opinioni, notizie da dare all' altro, ma deve arrivare ad essere un 'dire se stessi', chi sono io, ciò che provo, quello che sento di fronte a fatti ed avvenimenti. Non basta dire le proprie idee o le cose da fare.

Aprire il proprio animo all'altro è un segno di grande comu­nione ed esige una notevole capacità di ascolto. Chi sa davvero ascoltare, ti sente anche quando non dici nulla. Si giunge alla vera e propria empatia. Aprirsi vicendevolmente il cuore in profondità produce vita in pienezza e dà speranza. La forza e la vivezza dei sentimenti condivisi fa capire che ogni persona ha bisogno dell' amore dell' altro e questo rigenera la vita. Ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso.

In un mondo che da un lato esalta il benessere e assolutizza il piacere, e che dall'altro ha privato la sofferenza e il dolore delle loro capacità di formare alla vita, parlare di educazione alla fatica e di impegno serio e laborioso può sembrare davvero fuori luogo.

La costanza e la pazienza di chi costruisce con gioiosa fatica la propria vita costituiscono un grande valore educativo: cogliere l'importanza di un cammino impegnativo e a volte faticoso porta a guadagnarci le cose, i valori, gli obiettivi. Sono in gioco gli aspetti centrali dell'educazione: la formazione alla responsabilità, alla capacità di affrontare le difficoltà e gli imprevisti della vita.

In che cosa consiste l'educazione alla fatica? Sostanzialmente in questo: porre davanti ai figli obiettivi realistici, sostenerli nella volontà di raggiungerli, confermare i risultati raggiunti, trasformare le sconfitte in acquisizioni positive aiutando li ad un sano recupero dell'insuccesso.

Amare i propri figli non vuol dire risparmiarli dalla fatica; piuttosto significa rispettarli, non chiedere loro un impegno sproporzionato alle loro capacità, comunicare l'orgoglio della vittoria contro le difficoltà, offrire loro la possibilità di sperimentarsi anche con obiettivi difficili e impegnativi.

Uno degli obiettivi primi e fondamentali del compito educativo dei genitori è proprio quello di aiutare i figli a diventare adulti, cioè ad essere autonomi e auto sufficienti.

Il problema educativo dell' autonomia è strettamente legato a quello della sicurezza affettiva, dell' accoglienza e dell' amore. Qualsiasi genitore sa benissimo che il figlio ha bisogno di essere accolto e amato. Chi si sente accettato e desiderato costruisce dentro di sé un solido nucleo di personalità che gli permetta una sufficiente autonomia e indipendenza di fronte al mondo.

L'amore che fa crescere la sicurezza e l'autonomia è quello che responsabilmente lascia spazio di espressione all' altro, è quello che con accortezza è sempre pronto ad accogliere anche chi sbaglia perché sa che la persona umana non coincide mai con i propri errori.

Il punto forse più delicato dell'opera educativa è trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro.

Un cristiano non può dimenticarsi di educare i propri figli alla fede o pensare che essa sia soltanto un optional. E' triste vedere che anche dei buoni genitori cristiani si fanno in quattro perché ai loro figli non manchi niente delle cose materiali, d'altro canto non si curano di dar loro l'unica realtà vera ed eterna, quella che sarà la forza della loro vita. Un credente non può dimenticarsi che i suoi figli hanno innanzitutto un' anima. Da qui nasce il fondamentale compito affidato alla famiglia di trasmettere la fede cristiana. Che cosa vuol dire? Non si tratta semplicemente di insegnare preghiere, di recitare formule, di imparare i comandamenti; non è una trasmissione astratta o teorica di un sapere religioso. La trasmissione della fede è un qualcosa di molto più radicale e profondo perché fa parte integrante della comunicazione affettiva. Un figlio che cresce respirando un sano ambiente affettivo si apre fiducioso alla vita, agli altri, a Dio; in una parola, impara la fede. Infatti la fede non è semplicemente un contenuto, ma è primariamente una relazione, un rapporto vitale, un legame amoroso con Dio Padre.

"Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione e di amore. Creandola a sua immagine Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione" (Giovanni Paolo II Familiaris consortio, ll )

Non si può comprendere Dio se lo separiamo dalla capacità di rela­zione che mette in comunione il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Dio non è solitudine, se non fosse stato in grado di esprimere in se stesso una comunione di persone non avrebbe potuto creare gli uomini capaci di ricevere e donare amore, a Sua immagine e somiglianza.

 

Armando Trasarti

Vescovo