Quando
trascorrevo, in tempi ormai remoti, le vacanze estive a Mondavio, paese di
mia madre, spesso la domenica venivo invitato ad associarmi alla banda
musicale che si recava a rallegrare le solennità civili o religiose in
qualche paese vicino.
Infatti
Vittorio, mio cugino, faceva parte della banda.
Alcune volte,
di soppiatto, mi sono impossessato del suo strumento. Ero convinto che
soffiandovi dentro emettesse un suono, come accade con le trombette dei
bambini, ma non era così; Quindi non sono mai riuscito a produrre un
qualsiasi suono, se non qualcosa che richiamava piuttosto un rumore poco
elegante di tutt'altro genere.
L'apporto di
tale strumento alla formazione della melodia non era forse di primissimo
piano; ciò mi ha fatto comprendere che in un complesso non tutti possono
essere solisti, ma tutti sono ugualmente necessari.
I bandisti
convenivano sul luogo del raduno all'ora stabilita, con gli strumenti tirati
a lucido, gli spartiti in ordine, impeccabili nelle loro divise.
Qualcuno,
particolarmente arido in gola, cominciava già prima della partenza ad
approfittare della vicinanza di una mescita ingoiando il primo bicchiere di
vino.
Ci si
arrampicava poi a bordo di un "Dodge", residuato bellico, nel cui cassone
erano sistemate delle panche che accoglievano i passeggeri con un ben
modesto conforto
La meta
fortunatamente era quasi sempre vicina (Rupoli, Montebello ...) poiché le
condizioni del viaggio, come é facilmente intuibile, erano alquanto
disagevoli. Chissà se esisteva il codice della strada! Il conduttore di tale
veicolo sarebbe stato subito arrestato!
Giunti a
destinazione, tra l'ammirazione della gente e con codazzi di ragazzini, la
banda svolgeva il suo compito con impegno e serietà, seguendo la processione
del Santo Patrono o esibendosi in piazza.
Era ammirevole
l'attenzione e la professionalità di tutti. Il maestro dimostrava la sua
competenza e preparazione, senza farla pesare eccessivamente; il suo gestire
era sobrio ed essenziale, le sue osservazioni accettate di buon grado da
tutti.
La sua figura
era per me sempre affascinante.
Suscitavano in
modo particolare la mia ammirazione alcuni strumentisti che costituivano il
nerbo del complesso.
In primo luogo
un bravissimo sassofonista, rossiccio di capelli, che era il fiore
all'occhiello della formazione; aveva però un unico neo: quello di essere
stato reclutato all'estero (San Giorgio?); evidentemente Mondavio non
offriva elementi alla sua altezza.
Qualche
caratteristica macchietta (il trombone, la grancassa, i piatti) non alterava
la sostanziale serietà del complesso e suscitava la divertita simpatia degli
spettatori.
Ogni trasferta
della banda si concludeva ovviamente in gloria, con abbondanti libagioni e
sostanziose merende alle quali, come gentile ospite, partecipavo (alle
merende, non alle libagioni alle quali sono tuttora restio, tanto da
suscitare in qualche amico frasi del genere: “non sai cosa ti sei perso
nella vita!”).
Il ritorno a
casa concludeva una bella giornata tra risate, commenti e battute scherzose;
venivano riposti gli spartiti, ognuno se ne andava con il suo strumento che
veniva adagiato con cura nella sua custodia, fino alla successiva occasione.
Oggi forse ci
si diverte altrimenti, con emozioni più forti (e più pericolose); trovo
comunque dolce ricordare un tempo lontano, più modesto e semplice, ma
impreziosito dalla patina lieve della nostalgia.
Osvaldo
Sorrentino